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Concerti del mese

Concerto Ivanov


Martedì 11 aprile alle 21 si è tenuto a Cesena il concerto del pianista bulgaro Emanuil Ivanov, divenuto celebre soprattutto grazie al primo premio assoluto ottenuto nella 62° edizione del Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni (2019), che gli ha consentito di dare il via ad una carriera che prosegue tuttora.

Il concerto si è aperto con i tre notturni di Rachmaninoff (Andante cantabile, Andante maestoso. Allegro assai, Andante), brani raramente presenti nei repertori da concerto, composti durante la primissima produzione musicale del compositore russo.

Personalmente, anche se prima non li conoscevo, i brani mi sono piaciuti molto soprattutto per l’unità e la coesione dei brani al loro interno e fra di loro e anche perché creavano atmosfera grazie alle interessanti armonie che permeavano le composizioni, ma ancora di più ho apprezzato l’interpretazione; infatti, secondo me, questi tre notturni erano, fra gli altri, i brani in cui Ivanov si è rispecchiato di più durante l’esecuzione e in generale.

A seguire il pianista, come a dedicaare l’intera serata all’artista russo, ha riproposto sostanzialmente il programma che Rachmaninoff eseguì nel suo esame di diploma di pianoforte al Conservatorio di Mosca: la Sonata n. 2 op. 35 di Chopin e la Sonata n. 21 op. 53 “Waldstein” di Beethoven.


La seconda sonata è una delle più celebri opere del compositore polacco e anche delle più difficili, oltre ad avere una forma innovativa per il tempo. Nel primo movimento, Grave, mi è sembrato di notare un tocco molto morbido che mi ha ricordato quello tipico dei pianisti russi. I gravi, molto presenti nell’esecuzione, erano immersivi e coinvolgenti e gli acuti belli e chiari nei cantabili, come anche nello Scherzo, secondo movimento della sonata. Forse però, in questo caso, la messa in risalto degli acuti ha in qualche modo penalizzato un po' i gravi, che a volte mi sembravano quasi trascurati. La più che celebre Marcia funebre, il terzo movimento ormai diventato quasi un simbolo, tra l’altro suonata anche per la sepoltura di Chopin e durante diverse cerimonie funebri nel corso della storia, è stato il brano che credo mi sia piaciuto di meno, in termini di esecuzione, in quanto percepivo che il pianista non seguiva l’andamento generale del brano, ma sembrava incalzasse il ritmo senza “dare tempo al tempo”. Per quanto riguarda l’ultimo movimento, il Finale, mi hanno intrigato gli effetti armonici creati dalle rapide successioni delle due linee all'unisono, con ottave che librandosi nell’aria portano di soppiatto al potente ed energico fortissimo della fine, morte senza scampo.


Da ultimo, la sonata “Waldstein” di Beethoven, che deve il nome al conte cui è dedicata, chiamata anche “Aurora” per i toni gioiosi e solari. Beethoven scrisse questa sonata in un periodo in cui da una parte la sua salute, in particolare il suo udito, gli causava sempre più problemi, dall’altra era entrato in possesso di un pianoforte Érard, francese, all’avanguardia sotto il profilo meccanico, che lo spinse al limite delle nuove possibilità la scrittura. Nel primo movimento, Allegro con brio, composto nella tipica forma-sonata, ho notato in generale uno stile romanticheggiante, che si prendeva qualche licenza in termini di ritmo e, forse proprio in relazioine a questo, in certi punti ho sentito Ivanov quasi non riuscire a star dietro alla musica. Ben delineato e stagliato sul resto è stato il tema, nei fraseggi e in generale. Introduzione. Adagio molto è il secondo movimento e non ha una struttura formale; infatti secondo alcuni potrebbe essere diviso in preludio, arioso e postludio, secondo altri potrebbe trattarsi di un lied senza sviluppo; in ogni caso questo movimento in origine doveva essere un Andante, rimosso, sembrerebbe, per l’eccessiva lunghezza. Questa parte della composizione è molto riflessiva e sembra lasciare domande senza risposte. Ultimo movimento, Rondò. Allegretto moderato, nella tipica forma del “Rondò” (A-B-A-C-A-B1) è «interamente basato - secondo la testimonianza del Czerny - sull'uso del pedale, che qui appare essenziale» ed è diviso in refrain (A) e couplet (B e C). Il movimento è brillante e caratterizzato da festosa vivacità che man mano porta al virtuosistico Prestissimo di 140 battute, chiusura della sonata.


Dopo i brani da programma, Ivanov ha eseguito alcuni bis, tra cui Les sauvages (in Italia noto anche come Aria dei selvaggi), rondò in stile barocco di Jean-Philippe Brown, e una sua composizione nella forma di variazioni su tema.


Concerto Paolo Fresu & Uri Caine


È grazie a Crossroads, la più grande rassegna jazz della regione, ovvero un festival itinerante che si svolge su tutto il territorio dell’Emilia-Romagna, che il 19 aprile al teatro Rossini abbiamo potuto assistere al concerto del famosissimo trombettista sardo Paolo Fresu e dello statunitense Uri Caine, uno fra i più versatili jazzisti di questi tempi. La collaborazione fra i due musicisti è iniziata nel 2002 e da allora, dopo i due dischi incisi in studio, continua in un’intesa formidabile che unisce blues, repertorio jazzistico e citazioni classiche. Fra i primi brani del concerto c’era Summertime dalla celebre opera Porgy and Bess di Gershwin, arrangiato per pianoforte e tromba, e subito dopo Cheek to cheek, brano scritto da Irving Berlin per il film di Fred Astaire e Ginger Rogers, Top Hat (1935). Poi i due musicisti hanno eseguito un arrangiamento di un brano totalmente di un’altra epoca: Sì dolce è ‘l tormento di Monteverdi, compositore del periodo a cavallo tra rinascimentale e barocco. A seguire un arrangiamento da un’aria di Bellini e uno dalla celebre aria per soprano di Händel Lascia ch’io pianga. Fra gli altri, Night in Tunisia di Dizzy Gillespie e Frank Paparelli, divenuto uno standard jazz, è conosciuto anche come Interlude; il suo ritmo è afro-cubano, la sua griglia armonica e la sua melodia sono intriganti ed esotici, quasi orientaleggianti. Il brano prende ispirazione dalle ribellioni contro le segregazioni razziali, a causa delle quali dopo la seconda guerra mondiale i neri non ricevevano gli stessi onori dei bianchi, quando entrambi avevano rischiato la vita sul suolo tunisino. Per chiudere un brano di Barbara Strozzi, compositrice e soprano del periodo barocco a cui i due musicisti, insieme all'Alborada String Quartet, hanno dedicato il progetto Barocco in Pispisi 1 nel 2010: L'amante bugiardo, pubblicato nel 1651. A coronare tutte le commistioni fra Barocco e Jazz che ci hanno fatto ascoltare, all’uscita dal teatro era in vendita il terzo e ultimo album di Fresu e Caine, che hanno inciso in live nel 2015: Two Minuettos. Questo album comprende brani di autori che vanno da Bach a Lennon, da Barbara Strozzi a Gerswin, da Mahler a Dalla, a creare un insieme di colori e sensazioni sorprendenti, molto particolari e caratteristiche.



- Niccolò Fabi

 
 
 

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