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Writer's pictureL' eco del Liceale

LA STATUA DELL’AMORE

Due persone, un uomo e una donna, si scontrano all’angolo di una strada di una grande città: “scusa” dice l’uomo, per poi sentirsi ripetere, quasi in maniera automatica, la stessa identica parola dalla donna. L’incontro finisce lì, perché entrambi riprendono il loro percorso, con un’andatura ancora più veloce di prima a causa del ritardo imprevisto; a nessuno dei due è venuto in mente di guardare il volto dell’altro, in fondo è una cosa che accade spesso, perché farci caso. Le due persone si sono veramente incontrate? Nessuno può affermarlo con decisione, in realtà anche i passanti lì vicino erano di fretta, o comunque non avevano il tempo per soffermarsi su un dettaglio tanto irrilevante. Soltanto un pazzo si farebbe colpire da questa scena così banale e si metterebbe a pensare che, se le circostanze fossero state differenti, i due individui avrebbero potuto anche scambiarsi qualche parola, fare amicizia, uscire insieme, o magari persino arrivare a dirsi “ti amo”. Magari si incontreranno un’altra volta, ma i loro volti saranno talmente anonimi che anche se ciò accadesse probabilmente si ripeterebbe la stessa scena della prima volta. In ultima analisi questo è ciò che accade nell’opera di arte contemporanea “The statue of Love”, realizzata nel 2010 dall'artista georgiana Tamara Kvesitadze. L’installazione consiste in due gigantesche statue alte ben otto metri costruite tramite segmenti metallici sovrapposti e raffiguranti un uomo e una donna. Le statue compiono un movimento circolare ogni 10 minuti, e sono fatte in modo che, quando convergono, le barre metalliche passino le une in mezzo alle altre senza mai toccarsi, dando l’illusione che le due figure si fondano in una sola; l’illusione è però solo momentanea, in quanto il movimento continua e in pochi secondi le due statue sono di nuovo separate; è un incontro silenzioso, fluido, dinamico, che non lascia tempo alla riflessione ma solo alle sensazioni; nonostante ciò, le due figure non si sono neanche mai sfiorate, anche perchè non hanno braccia per stringersi, mani per toccarsi o occhi per vedersi, si limitano a fondersi e a separarsi ogni dieci minuti dalle sette di sera di ogni giorno, a volte accompagnati da spettacoli di luce proiettati sui loro corpi. Per la realizzazione di questa installazione l’artista si è ispirata alla storia di Ali e Nino, i protagonisti del racconto anonimo più noto nella letteratura caucasica nonché romanzo ufficiale dell’Azerbaigian. La vicenda è abbastanza simile a quella di Romeo e Giulietta, ma in questo caso la differenza fra i due amanti non è sociale, ma culturale: Ali è un principe musulmano, mentre la principessa Nino fa parte della cultura europea. La storia si articola come un insieme di brevi incontri fra i due, intervallati da una lunga serie di peripezie che porteranno alla morte del principe. "Ho ideato quest’opera in un momento in cui ero ferita, quindi ho voluto esprimere cosa volesse dire per me stare insieme per un momento, con qualcuno, per poi perderlo subito”, ha ammesso Tamara Kvesitadze in un’intervista. Penso che il messaggio di cui si fa portavoce l’artista sia particolarmente rilevante al giorno d’oggi, perché si tende a stigmatizzare l’incontro “occasionale” col prossimo, relegandolo alla superficialità, ai convenevoli e alle frasi fatte, mentre questi amanti ci dimostrano che la “quantità” di un rapporto non è necessariamente proporzionale alla “qualità” di quest’ultimo. Ecco che dunque, quando la prossima volta ci scontreremo per strada, forse avremo la lucidità di alzare lo sguardo e di ammirare la realtà dell’altro, stupenda ed irraggiungibile.


https://www.youtube.com/watch?v=oQea4Z6pcRc


il link é di un time-lapse della statua.

Matteo Venturi 4AC



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