Anche gli eroi (e le eroine) perdono
- L' eco del Liceale
- May 10, 2022
- 4 min read
Updated: Jan 3, 2023
Quando mi chiedono quale sia il mio libro preferito faccio sempre molta fatica a pensare con chiarezza ad un solo titolo. Come posso scegliere ‘Sei di Corvi’ e i suoi personaggi pressocché tangibili quando per farlo dovrei lasciare indietro ‘La vita invisibile di Addie LaRue’ e la sua magica protagonista? Oppure, come dimenticare Percy Jackson, il primo amore della mia vita, per rispondere che tutta la saga di Shadowhunters mi ha stregata?
Ebbene, lettori e lettrici, forse, e dico solo forse, ho trovato un libro che posso ritenere appartenga al mio personalissimo podio: ‘Le notti bianche’, capolavoro di Fedor Dostoevskij del 1848.
Ora, la domanda sorge spontanea, no? Perché proprio questo misero e quasi insignificante libriccino di appena sessanta pagine dovrebbe essere tanto significativo? Considerando oltretutto che la vicenda include due soli personaggi caratterizzati, dei quali solo uno ha un nome?
Ecco, è proprio questo che mi ha fatta innamorare di questo racconto, il suo essere senza tempo, senza contesto e senza alcun tipo di legame con la sua realtà. Narra di una storia vecchia e al contempo ancora viva, parla di Pietroburgo, ma potrebbe parlare di Londra, Roma, New York, in ogni tempo del mondo. E questo solo perché il protagonista e io narrante della storia è un sognatore. Lui è Il Sognatore, stimato tale per eccellenza da tutti coloro che oggi si ritengono anch’essi sognatori.
“Il sognatore non è un uomo ma una specie di essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell'animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa.”
Così si definisce egli stesso, che vive di notte e proprio di notte scoprirà l’avventura. Lei si chiama Nasten’ka, che se le mie ricerche sono corrette sarebbe Anastasia (perdonate l’informazione inutile, diciamo che volevo solo scrivere questo nome così bello), ed è a suo modo la personificazione della Realtà.
Dunque, raccogliamo un secondo le informazioni che abbiamo, così che io possa rendere chiara la mia preferenza: abbiamo Il Sognatore, La Realtà, La Notte, e anche una città deserta, perché sono tutti in vacanza. Il Sognatore è un vagabondo notturno e la nostra Nastja è una giovane dal cuore infranto che piange su una panchina. Quando i due
si incontrano il nostro giovane le chiede di parlare di lei, ed è proprio questo che succede nel romanzo,
lei si racconta a lui, e lui se ne innamora
perdutamente. Spoiler sul finale, lei lascia a piedi il Sognatore, che si sveglia, nell’ultimo capitolo, come da un sogno, rendendosi conto che la Realtà non è dolce e carezzevole e che, purtroppo, a un certo punto le vacanze finiscono e gli abitanti tornano ad affollare la città.
A questo punto mi sembra chiaro il motivo per cui questo libro non può mancare nella libreria di chiunque, lettore o no che sia: perché è adatto ad ogni tipo di pubblico. Tutti possono trovare una parte di sé nel racconto, sia essa nel Sognatore o in Nasten’ka o, perché no, nell’atmosfera pazzesca evocata dalla narrazione in prima persona.
Come non pensare, leggendo del Sognatore, a quella malinconia e a quello struggimento che si possono lenire solo grazie alla luna piena, o ad una melodia lontana?
Come non immedesimarsi nell’incoerenza di Nasten’ka, così coerente nel suo essere umana?
Come non farsi trascinare dalla Notte, luminosa e bianca come un giorno, anche se così vuota?
L’autore ha scritto la storia d’amore perfetta, ed è tale proprio perché non finita; i protagonisti, a mio avviso, hanno instaurato un legame indissolubile, il tipo di amore proprio delle anime, per poi, come spesso accade nella realtà, farlo perire tanto in fretta quanto in fretta è nato perché la vita è anche questo, trovarsi e fuggire, donarsi completamente prima ancora di essersi conosciuti, raccontarsi senza aver letto fino in fondo la trama di sé stessi. Per me le Notti del Sognatore sono state un viaggio e il loro essere ancora presenti nella mia memoria nonostante gli anni trascorsi dimostra come, pur essendo intangibili come nuvole, hanno lasciato un segno indelebile.
Ed ecco, dunque, perché anche gli eroi possono perdere. Devono perdere, a volte, per essere veri eroi. Perdere l’orientamento, poi perdere la testa per una sconosciuta, perdere il senso del tempo e, infine, perdere loro stessi in qualcun altro per poi perdere anche questo qualcuno. Possono perdere tempo, perdere le speranze, perdere anche quell’ultimo briciolo di ottimismo che rimaneva loro. Quello che però non potrà mai abbandonarli è il loro essere eterni e così reali che la Realtà stessa fugge da loro, perché quello che tanto amiamo negli eroi è la loro umanità, quella che rende anche noi eroi nel quotidiano, quella che ci permette di sentirci grandi anche se rifiutati, perché possiamo, in qualunque contesto, dire che non sempre i nostri eroi preferiti vincono, non sempre trionfano, non sono sempre perfetti, non sono sempre felici, ma nonostante tutto vivono, vanno avanti e, pur essendo caduti, si rialzano.
Dunque, spero di aver convinto almeno uno di voi a leggere questo capolavoro, ma anche se così non fosse, ho avuto comunque il piacere di rileggere il racconto del caro Fedor e di apprezzare, ancora una volta, il Sognatore, mia Musa ispiratrice, Nasten’ka, che apprezzo molto e non solo per il nome e la Notte, che, bianca o buia che sia, è sempre un’ottima compagna di vita.
“Viaggiando in lungo e in largo per il mondo ho incontrato magnifici sognatori, uomini e donne che credono con testardaggine nei sogni. Li mantengono, li coltivano, li condividono, li moltiplicano. Io umilmente, a modo mio, ho fatto lo stesso”
SARA GULMINELLI, 5AC
Comments