Anche gli eroi (e le eroine) sono outsiders
- L' eco del Liceale
- Apr 11, 2022
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Updated: Jan 3, 2023
Linus Baker è un non-eroe, e su questo non si può discutere, ma sicuramente ha molte più lezioni da insegnarci rispetto ai perfetti eroi libreschi che riescono in tutto ciò che fanno e non hanno problemi a mettersi in gioco. Soprattutto, ha molto più da insegnarci riguardo la difficoltà di trovarsi bene tra gli altri.
È vero, la maggior parte degli eroi dei libri è costituita da orfani, giovani uomini e donne privi di affetti stabili o socialmente emarginati, ma il fatto è che tutti loro sono soli perché o hanno poteri troppo grandi da poter anche solo rischiare di farli entrare in contatto con gli altri, o hanno enormi responsabilità che, per senso del dovere e dell’onore, vogliono tenere solo per sé senza farle pesare ad altri. Però è vero anche che, entro la fine del libro/trilogia/saga che li vede protagonisti, questi eroi outsiders vengono accolti da un gruppo più o meno eterogeneo di persone (e non) che li fanno sentire, a loro dire “per la prima volta nella mia vita”, a casa, nonostante il fatto che una casa non ce l’abbiano più.
Voglio dire, non che mi dispiacciano questi trope, però basta! Non è realistico! Io, fortunatamente, una casa ce l’ho. Ho anche qualche amico. Sicuramente ho dei parenti. E come me, spero, anche la maggior parte di voi lettori.
Ma quindi, come spiegare quel sentimento che ti prende quando pensi che, nonostante la fortuna nell’avere una vita più o meno stabile e facile da gestire, comunque quello che hai già non è quello di cui hai bisogno? Come fare quando la nostalgia e il dolore per la mancanza di una condizione di pace interiore che forse non hai mai provato in vita tua si fanno troppo acuti?
Semplice, leggi “La Casa sul Mare Celeste”. La Schwab descrive la sensazione provocata dalla lettura di questo libro come “Farsi avvolgere in una grande coperta arcobaleno”. Io l’ho chiamato “Effetto Linus Baker”.
La storia è semplice: Linus Baker, giovane assistente sociale del Dipartimento della Magia Minorile, solito assicurarsi che i bambini dotati di poteri magici siano ben accuditi negli appositi orfanotrofi a loro dedicati, si trova un giorno a
doversi dedicare allo strano caso dell’orfanotrofio dell’isola di Marsyas, che ospita sei bambini ancora più strani del solito ed è gestito dall’enigmatico Arthur Parnassus.
Ancora più semplice è mettersi nei panni del goffo, dolce, incredibilmente solo Linus, che tutti i giorni lavora con dedizione nonostante non venga mai gratificato dai datori di lavoro e che ogni giorno di più sente su di sé tutta la pesantezza della vecchiaia che avanza, lasciandolo sempre più solo, con la desolante compagnia della sua dolce (ehm) gatta Calliope e del vecchio giradischi in salotto. Aggiungete a questa descrizione il fatto che sia anche fuori forma e palliduccio e capirete come la sua immagine di certo sembra sfigurare accanto ai bellissimi eroi librosi moderni.
Eppure, con una dolcezza incredibile e una delicatezza impensabile, questo libro non solo ti fa innamorare di Linus, ma anche di tutti quei suoi piccoli limiti che imparerà, sotto la guida e l’occhio attento di quel figo (ops) di Arthur Parnassus, ad accettare e superare. Alla fine del romanzo lui, che già aveva una vita stabile, un po’ triste forse, decisamente solitaria, ma nonostante tutto sicura, capirà che spesso mettersi in gioco è la parte difficile del viaggio. Lui, che già si era rassegnato ad un’esistenza piatta, ha trovato una famiglia in quelle stesse creature che tanto temeva all’inizio del suo soggiorno sull’isola.
Tj Klune, quando ha scritto questo capolavoro, probabilmente si era aspettato che i lettori avrebbero apprezzato (o disprezzato del tutto) il modo in cui ha parlato della diversità dei personaggi secondari e del protagonista, oltretutto omosessuale. Quello che forse non si sarebbe mai aspettato è il riscontro del tutto positivo dei lettori alla sensazione provocata dalla lettura di queste pagine, così cariche di amore da far quasi (quasi però) venire le carie.
Certo, il libro si propone come un romanzo inclusivo volto a far comprendere come la diversità non sia un difetto, ma un punto di forza che riesce a creare legami indissolubili tra le creature più disparate e diverse tra loro, tramite la comprensione che sono i dettagli, le piccole cose, i gesti quotidiani a connettere gli animi, e sicuramente ho apprezzato queste tematiche, mi ci sono riconosciuta e ho chiaramente empatizzato con i personaggi.
Quello che però maggiormente resta dalla lettura di queste pagine è il fatto che i cambiamenti che vengono attuati nel corso della storia, quelli che secondo Arthur “Spesso prendono avvio dal più flebile dei sussurri”, siano tutti realistici. Niente in questo libro avviene per caso e nessun mutamento è drastico. Perfino i maggiori sconvolgimenti, quelli che dovrebbero essere i colpi di scena, sono delicati. Insomma, ciò che resta alla fine di questo viaggio è la sensazione che, mettendosi in gioco e mettendo in discussione le proprie convinzioni, sia possibile trovare la pace anche in una quotidianità più realistica rispetto a quella molto fantasiosa e impossibile della maggior parte dei libri.
Oltretutto, senza dimenticare che la felicità è quasi sempre nelle piccole cose, anche in quelle che sembrano più fragili (bottoni, fiori e fogli di carta soprattutto).
Quindi, quando vi sentite demotivati, quando siete tristi, se mai vi sentirete fuori posto pur essendo dove ci si aspetta che siate o anche, paradossalmente, dove pensavate di voler essere, prendete questo libro e lasciatevi abbracciare. Permettete alle sue parole di accudirvi, consolarvi, farvi tornare a credere nell’umanità. Non ve ne pentirete, anche perché pur essendo dolce non ti smaga, anche nella sua delicatezza ha una forza travolgente e sicuramente, senza che ve ne accorgiate, vi farà riflettere molto più di altri libri dai titoloni altisonanti e pretenziosi.
“I cambiamenti spesso prendono avvio dal più flebile dei sussurri. Sta alle persone che ci si riconoscono trasformarlo in un ruggito”
Arthur Parnassus
SARA GULMINELLI, 5AC
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