top of page

“Don’t say gay” e Disney

Updated: Jan 3, 2023

Nelle settimane scorse potreste aver sentito parlare di una proposta di legge americana soprannominata “Don’t say gay”, ovvero “Non dire gay”, che ha fatto molto discutere. Si tratta di una proposta di legge in Florida, la quale è già stata approvata dalla Camera e dal Senato, dunque al momento manca solo la firma del governatore DeSantis per la sua entrata in vigore. Secondo gli esponenti politici promotori della legge, questa dovrebbe favorire un ruolo attivo dei genitori nell’educazione dei propri figli, ponendo particolare riguardo a questioni delicate come la sessualità e l’orientamento di genere. Ma se è davvero questo il contenuto della legge, come mai ha suscitato tale scalpore su scala mondiale, e cosa ha la Disney a che fare con tutto questo?

Innanzitutto, la proposta di legge non parla solo di rendere più partecipi i genitori nella vita dei propri figli: viene esplicitamente vietata la trattazione delle tematiche di orientamento sessuale e identità di genere nelle scuole, fino al 3rd Grade (a cui corrisponde una fascia di età che va dagli 8 ai 9 anni); per le classi successive, la discussione di questi temi non è vietata, ma è precisato che deve essere “adeguata all’età o allo sviluppo degli studenti”, nelle scuole di ogni grado. È un’affermazione molto ambigua che ha fatto discutere e non è andata giù alla comunità LGBTQ+ e ai suoi alleati: l’ambiguità potrebbe creare scappatoie legali, ed essere utilizzata dai genitori per fare causa alle scuole nel caso ritengano che i propri figli stiano ricevendo un’educazione che includa l’orientamento sessuale o l’identità di genere.

Le persone favorevoli alla legge insistono che ai bambini non serve che la scuola li “confonda” con argomenti “non adatti” alla loro età (ma cosa ci sarebbe di non adatto nell’insegnare che amare una persona non è sbagliato, a prescindere dal genere?). Quello che si chiede è solo che i bambini possano sentirsi accettati per quello che sono in un ambiente tanto importante per loro come la scuola, soprattutto perché molte ricerche ci dicono che una buona parte delle persone facenti parte della comunità LGBTQ+ sapevano già di essere queer a 10 anni o meno. Vietando la discussione di queste tematiche nel contesto scolastico, non potendo spiegare ai bambini che è normale non essere etero e/o cisgender e che non sono sbagliati se si sentono diversi, si va soltanto a privarli dell’accettazione di cui hanno bisogno, favorendo soltanto la disinformazione e l’emarginazione sociale; si va anche a rischiare che la già preoccupante alta percentuale di tentativi di suicidi nei giovani queer vada ad aumentare. Inoltre, dal lato legale, in molti considerano questa legge in contrapposizione con il testo del Primo Emendamento del Bill of Rights americano, nel quale viene chiaramente menzionato il diritto di parola e di stampa.

Le proteste studentesche contro la legge si sono diffuse a macchia d’olio nello Stato della Florida, attirando l’attenzione della stampa internazionale, ma anche di attori di successo di Hollywood e della Casa Bianca, e proprio qui entra in gioco la famosissima azienda Disney.

Inizialmente l’amministratore delegato Disney Bob Chapek aveva inviato una nota al proprio staff nel quale dichiarava che l’azienda non si sarebbe schierata pubblicamente contro la proposta di legge “Don’t say gay”, nonostante supportasse tutti i dipendenti facenti parte della comunità LGBTQ+.

Il tentativo di rimanere neutrale è, ovviamente, fallito, in quanto molti attivisti hanno fatto notare come la Disney guadagni ingenti profitti ogni anno dalla vendita di collezioni di merchandise a tema pride, e usi i soldi ricavati in gran parte proprio dalla comunità LGBTQ+ per donare ai promotori della legge incriminata “Don’t say gay”; e purtroppo non si tratta solo di una cosa recente, ma nel corso degli anni la Disney ha finanziato le campagne politiche di molti personaggi politici apertamente omofobi e transfobici, senza mai prendere una posizione decisa sul tema.

L’opinione pubblica è però insorta nelle ultime settimane, chiedendo all’azienda di prendere posizione contro la proposta di legge, ed ha circolato su internet una lettera firmata dai dipendenti della Pixar (una divisione della Disney) facenti parte della comunità LGBTQ+ e suoi alleati. In questa lettera i dipendenti hanno denunciato la casa madre di censurare sistematicamente ogni accenno ad un amore omosessuale proprio nei film della Pixar, e a questo punto la Disney ha dovuto rispondere pubblicamente con un post di scuse sui social, nel quale ribadisce l’assoluta inclusività dei parchi Disney: “Disney Parks, Experiences and Products si impegna a creare esperienze che supportino i valori familiari per ogni famiglia e non sopporterà alcuna discriminazione. Ci opponiamo a qualsiasi legislazione che viola i diritti umani fondamentali e siamo solidali e supportiamo il nostro cast, la troupe e gli Imagineers LGBTQIA+ e i fan che fanno sentire la loro voce oggi e ogni giorno”. Bob Chapek si è poi scusato direttamente con i suoi lavoratori: “[…] Oggi sospendiamo tutte le donazioni politiche nello stato della Florida in attesa di questa revisione. Mi impegno in questo lavoro e con voi tutti e continuerò a impegnarmi con la comunità LGBTQ+ in modo che io possa diventare un alleato migliore […]”.

La Disney sembra quindi essere tornata sui propri passi e decisa a tutelare i diritti della comunità LGBTQ+: ma sarà davvero intenzionata a mantenere la propria parola, o ha solo paura di perdere alcuni dei fan più affezionati? Vorrà solo mantenere la faccia o in futuro vedremo un reale impegno da parte dell’azienda?


KAREN CAVINA, 3CSA

Recent Posts

See All
La cura attraverso l’arte

Dal 5 marzo al 16 aprile, a Ravenna, nel Palazzo Rasponi dalle Teste, si sta tenendo una mostra dal titolo “La cura attraverso l’arte”...

 
 
 

Comments


bottom of page