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Il mondo della musica

Updated: Feb 21, 2023

Premio Venezia 2022

È alla fine del novembre 2022 che si è svolta la 38a edizione del Premio Venezia, concorso pianistico nazionale fra i più prestigiosi in Italia. Il concorso è rivolto ai giovani pianisti fino a 24 anni che si siano diplomati al conservatorio con il massimo dei voti.

La competizione ha avuto luogo al Teatro La Fenice di Venezia, splendido teatro che 26 anni fa prese fuoco in un incendio che rischiò di bruciare una parte della città, e “risorse dalle ceneri” nel 2003. In tutto le prove erano 4: una prima selezione, chiusa al pubblico, che si è svolta da lunedì 21 novembre a mercoledì 23 nella Sala Apollinee; il concerto dei concorrenti, dodici in tutto, giovedì sempre nella Sala Apollinee; il concerto della cinquina dei semifinalisti, venerdì nella Sala Grande; infine il concerto dei finalisti e la premiazione domenica nella Sala Grande.

Per l’occasione, come ogni anno, le giurie erano due: quella tecnica, di cui cito il grande pianista Roberto Prosseda, e quella popolare. A superare la terza prova sono stati solo in cinque: Gabriele Bagnati, Vera Cecino, Ruggiero Fiorella, Niccolò Ferdinando Cafaro e Riccardo Martinelli, ma solo questi ultimi due hanno superato la semifinale. Al concerto dei finalisti, a cui ho assistito personalmente, si è esibito prima Riccardo Martinelli, allievo del M° Mauro Minguzzi, insegnante alla scuola Malerbi di Lugo, con il Carnaval op. 9 di Schumann, e poi Niccolò Ferdinando Cafaro con alcuni preludi di Debussy e, di Chopin, il Cantabile in si bemolle e la Sonata n. 2 op. 35, celebre per la Marcia Funebre.

A seguito delle esibizioni, le giurie, dopo un consulto, hanno definito la graduatoria conclusiva dei cinque vincitori, che riporto di seguito:

1° classificato, Premio Venezia: Nicolò Ferdinando Cafaro

2° classificato, Premio Speciale Alfredo Casella: Riccardo Martinelli

3° classificato: Ruggiero Fiorella

4° classificato: Vera Cecino

5° classificato: Gabriele Bagnati

Infine c’è stata la premiazione, in cui i premi erano dai 9000 € del quinto posto ai quasi 50000 € del primo, senza contare i molti concerti offerti in giro per l’Italia (e, al primo classificato, per il mondo) e le varie onorificenze offerte dagli enti locali e non.

Partendo dal primo finalista, credo che l’esecuzione, anche se non pulitissima e con qualche evidente ma breve vuoto di memoria, sia stata molto espressiva e personale, senza ombra di dubbio molto più musicale dell’esecuzione del secondo finalista che, pur avendo eseguito i brani in maniera molto chiara e puntuale, ai miei occhi è risultato freddo e distaccato, molto concentrato sulla tecnica e privo di quell’improvvisazione dell’espressività che è una delle caratteristiche fondamentali della musica: ogni esecuzione, anche se dello stesso brano, non sarà mai uguale alle altre (e per fortuna), ma ci sarà sempre un qualcosa di nuovo e imprevedibile che dipende dalla nostra umanità e dal concetto di attimo (carpe diem), vivo e sfuggente.




Concerto di Ivo Pogorelich

Il 6 dicembre dell’anno scorso la città di Forlì ha ospitato al Teatro Diego Fabbri il celeberrimo pianista croato Ivo Pogorelich, che si è esibito con un programma quasi monografico su Fryderyk Chopin, autore romantico molto importante per la carriera del pianista.

Pogorelich ha aperto il concerto con la Polonaise-Fantasie in la bemolle maggiore op. 61, brano dell’ultimo periodo di Chopin, ormai al di fuori dello schema tipico della Polonaise, più aperta e sperimentale (da qui Fantasie).

A seguire un’opera di Franz Schubert: i sei Moments musicals op. 94. Non si è mai saputo se le sei composizioni in origine fossero state pensate come brani separati o come suite di quelli che all’epoca erano chiamati “fogli d’album”, anche se un accostamento di essi sarebbe ampiamente giustificabile per l’unità di stile.

Il concerto è proseguito senza intervalli ritornando a brani del compositore polacco: la Fantasie in fa minore op. 49, (unicum nella produzione di Chopin) un'opera solidamente impiantata e compatta, la Berceuse in re bemolle maggiore op. 57, formata da 14 variazioni su un tema originale caratterizzate dalla contrapposizione fra il basso, costante e uguale a se stesso, e tema, estremamente libero e virtuosistico.

Infine Pogorelich ha eseguito la Barcarolle in fa diesis maggiore op. 60, che costituisce anche un omaggio al nostro Paese in quanto la “barcarola” era un tipo di composizione vocale che aveva lo scopo di rievocare il canto dei gondolieri veneziani e nella Barcarolle Chopin traspone questo canto al pianoforte, lasciando comunque accenni a quelle forme vocali che in gioventù aveva amato dell’opera italiana. In aggiunta sono stati eseguiti due bis (senza che il pubblico li richiedesse): un preludio e un notturno, sempre di Chopin.

Personalmente ho sempre avuto, per quel poco che ho ascoltato, un’immagine quasi divinizzata di Pogorelich come il pianista originale e sperimentale, uno fra i migliori esempi di tecnica ed espressione pianistica e devo ammettere che durante il concerto queste mie convinzioni sono state messe a prova. In quanto ammiratore di Pogorelich, ho avuto l’impressione, per l’intera durata del concerto, che non avesse la forza fisica e i mezzi materiali di sostenere le esecuzioni; sentivo che, quando la musica richiedeva maggior energia e sostanza, sia agogica che dinamica sembravano dimezzate e questo in certi punti credo potesse essere vista come interpretazione personale “leggermente” libera e quindi, per quanto mi riguarda, più che accettabile, ma in alcuni momenti non riuscivo a seguire il concerto tanto era lo stravolgimento dei brani eseguiti. Altro dettaglio che secondo me rappresenta un altro indice di indebolimento e, va detto, anche vecchiaia del pianista, è l’impellente bisogno degli spartiti (vecchi e ingialliti), che divorava con gli occhi quasi stesse leggendo i brani a prima vista e quando il voltapagine stava voltando pagina non si faceva problemi a interrompere l’esecuzione tenendo le mani sulla tastiera immobili nell’ultima posizione, in trepidante attesa di proseguire. Devo dire che, nonostante tutto ciò, mi è stato impossibile non notare (ed esserne molto attratto) brevi momenti, passaggi musicali incredibilmente espressivi e originali, che non avevano nulla a che fare con il resto dell’esecuzione, completamente ad un altro livello; sono stati questi particolari che mi hanno fatto capire in prima persona che il pianista che ho sentito a Forlì non è altro che il tramonto di un pianista, ma non di uno qualunque, di uno dei più grandi mai vissuti, che è riuscito a trascinarsi pochi, ma insostituibili, tratti dell’esecuzione che lo caratterizzavano in gioventù, ad oggi ancora presenti e vivi nella vecchiaia.


- Lorenzo Missiroli

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