IMPRESSIONE SULLA SAGRADA FAMILIA
- L' eco del Liceale
- May 10, 2022
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Updated: Jan 3, 2023
Una legacy mutevole, dinamica che accumula i sogni e i desideri di tutti coloro, che non solo partecipano e hanno partecipato alla costruzione, ma alla visione stessa. Ogni tipo di sguardo, sia quello di sfuggita che quello esterrefatto, nutre l'anima di tale costrutto.
Un raccoglimento omnicomprensivo;
in esso si racchiudono rami, alberi di pietra, sculture svuotate della propria deificante sovraumanità e pregne di dolore, grazia, amore e completezza. Non c'è spazio per il timore della solitudine,
non vi è frammentazione esistenziale,
i peccati del caotico e del promiscuo non trovano cittadinanza:
tutto è composto e riconciliato in proporzioni, metafore e intuizioni.
Una quiete intelligente e garbata che, veicolata da uno stupore collettivo e da una mente meticolosamente spronata a capire i mille particolari che la circondano, sfocia in qualcosa di essenziale, di personalmente vero.
Non si avverte peraltro la dicotomica scissione bene e male tipica dei sacrari cattolici, poiché il gusto intimamente genuino per la dedizione alla gratitudine dell'idea motrice (non solo di Gaudì) surclassa ogni precetto moralistico e peccatorio.
Gli spazi a tratti infiniti, certamente snodati e in equilibrio, sono simili se non uguali a quelli interiori che si avvertono nei momenti di profonda presa di coscienza.
È uno spazio psichico, oltre che meditativo, estetico e contemplativo. Spiccano inoltre certe tematiche e simbologie, come le frutte, gli animali e la stessa pietra che compone le colonne e le statue, le quali richiamano ad uno stato non solo più primitivo, più arcaico, più primigeno (per chi da ancora credito allo spirito, la meraviglia lo rimanderà sicuramente ad una fede infantile, immacolata e senza compromessi), ma anche incredibilmente presente. Per meglio dire, tutto concorre ad un concetto concretamente attuale.
Ogni opera, ogni disposizione tende all'infinito. Quelle rocce, come quella foresta di colonne e quelle apparentemente incoerenti gru metalliche, tendono all'attimo passato, presente e futuro. Ci si raccoglie in un atto contemplativo, non verso il crocifisso o verso il proprio ego, ma direttamente alla stessa estasi incalzante, che colora la vita e ci fa innamorare dell'intuizione virtuosa.
In questa esperienza multisensoriale, l'opera d'arte, assieme alla rispettiva storia sia architettonica che del suo ideale concepitore, recide il legame mortale, che la rende finita e limitata a mera artificiosa abbazia, estrapolazione di una costola dell'autore. Il focus creativo è delocalizzato dal legame possessivo-narcisistico autore/prodotto al dono puro. È il simbolo di un'eredità regalata, che non rientra nella dimensione baratto/ricatto tipica della nostra società neo-capitalista, la quale (eredità regalata) rappresenta il paradigma per eccellenza del dono uomo-umanità.
Una creta in continuo cambiamento, che non mira ad autorizzarsi tramite la fossilizzazione della firma, della sigla di possesso o dell'enunciato "Questo è mio", ma che in un atto mistico di coraggio si consegna al mondo intero per porre al centro dell'attenzione ragionante e contemplativa la legge della carità, dell'incontro multietnico
(il Pater Noster inciso sul portale della navata principale in 50 lingue) e dell'affidamento speranzoso, non ottimisticamente ottuso.
Il coraggio di abbandonarsi lietamente al mutamento.
Di cogliere il tempo che scorre e lo spazio che cambia.
ANDREA VALANDRO 5BSU
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