La situazione in Iran
- L' eco del Liceale
- Jan 17, 2023
- 5 min read
Mahsa (Jina) Amini, studentessa 22enne di etnia curda prelevata dalla polizia morale con l’accusa di non rispettare le norme sull’obbligo del velo, verrà dichiarata morta, a seguito del suo arresto avvenuto il 13 settembre, dopo due giorni di coma per le violenze subite nella caserma della polizia morale: un'unità della polizia, fondata nel 2005 con il preciso scopo di perseguire le leggi sul dress code, che è sotto il controllo diretto dell’Ayatollah.
La morte di questa ragazza non ha portato solo dolore ai cari, ma ha inoltre creato una situazione di rabbia che ha portato il popolo Iraniano alla rivolta popolare. Una rivolta popolare che ha già provocato più di 500 morti tra i manifestanti e oltre 18 mila arresti. Le ingerenze delle forze di polizia sono di dominio pubblico: pestaggi, stupri atti proprio a creare uno stato di terrore nelle famiglie delle donne che decidono di protestare; ma nonostante ciò, le proteste sono state più di 1.100 in 161 paesi.
Vari sono gli slogan gridati dai differenti ceti della società iraniana, i quali, nonostante le diversità, si ritrovano lì in strada a rivendicare la sfiducia nella possibilità di riformare il sistema politico iraniano. Secondo i manifestanti, il deterioramento economico, l'ingerenza del regime nella vita privata dei cittadini, la corruzione, il nepotismo e la repressione del dissenso politico hanno raggiunto il limite. Chi protesta vuole la caduta del regime e chiede un cambio di struttura politica. Quella contro il velo è solo la punta dell’iceberg di un’insubordinazione diventata totale e una rivolta contro il dominio teocratico iraniano.
Per comprendere come siamo giunti a questa situazione, dobbiamo tornare indietro, fino a quando l’Iran era una monarchia, capeggiata dallo Scià (il nome che viene attribuito ai re Iraniani) Reza Pahlavi, che divenne sovrano il 16 settembre 1941, a seguito dell’abdicazione del padre Reza Shah Pahlavi, poiché gli inglesi e i sovietici avevano la preoccupazione che fosse in procinto di allineare la sua nazione, ricca di petrolio, con la Germania nazista. Nel 1941, a seguito di un ultimatum, gli Anglo-Sovietici occuparono militarmente l'Iran. Secondo molti storici, il timore dell'influenza germanica fu solo un pretesto, la vera ragione dell'invasione, infatti, sarebbe stata la necessità di aprire una via sicura di rifornimento militare all'Unione Sovietica, al tempo sotto l’attacco della Germania nazista.
A partire dal 1963, Reza Pahlevi promuove la cosiddetta “rivoluzione bianca", una serie di vaste riforme volte alla modernizzazione della società e ad una maggiore laicizzazione delle istituzioni, riforme suggerite dall’amministrazione statunitense di John F. Kennedy (importante alleato del regime iraniano, insieme all’Inghilterra).
L’Iran a quell’epoca aveva due figure politiche: il Re (cioè lo Scià) e l’Ayatollah, che è il capo spirituale del clero sciita, di cui la maggior parte della popolazione professa la religione.
La figura del capo spirituale è sempre stata di grande influenza sulla popolazione iraniana, tanto che l’Ayatollah Ruhollah Khomeini (1902-1989) si oppose alle riforme e mise in seria difficoltà lo Scià, ordendo una congiura contro quello, la quale fallì in pieno, causando il suo esilio. Alla rivoluzione bianca si opposero anche i nazionalisti, secondo i quali, più che di modernizzazione, si poteva parlare di una forzata “occidentalizzazione” della società. Inoltre, i clericali avevano una avversione per l’occidente, in particolare per gli Stati Uniti, la causa è da ricercare nel 1953, quando i servizi segreti statunitensi e britannici riuscirono, con l’approvazione dello Scià, a far cadere il primo ministro conservatore Mohammed Mossadegh e il suo governo eletto democraticamente dai cittadini, che, con la nazionalizzazione del petrolio (Anglo-Iranian Oil Company, società britannica che si occupava dello sfruttamento del petrolio) e l'alleanza con i religiosi, aveva avviato una transizione democratica pacifica in Iran.
Con le riforme, le aspettative degli Iraniani aumentarono senza che, di pari passo, crescesse l’economia e si introducessero politiche per arginare la corruzione della monarchia; inoltre, le riforme stentarono ad attecchire, esse apparivano poco popolari al di fuori delle grandi città, dal momento che la rivoluzione bianca comprendeva una transizione dell’economia verso il capitalismo, capace di favorire solo i ceti più ricchi.
Negli anni ’70, l'Iran venne scosso da diversi tumulti sociali, che vennero ampliati anche dalla crisi economica che il paese stava vivendo nel 1976, caratterizzata dall’aumento della disoccupazione e dell'inflazione. I primi a scendere in piazza contro lo Scià furono i cosiddetti “Fedayyin-e khalq”, ossia i volontari del popolo. Si tratta di formazioni di ispirazione marxista composti sia da studenti universitari sia da operai, in seguito si aggiunsero i nazionalisti e alcuni gruppi di ispirazione islamica, sostenuti da un clero sciita decisamente in rotta di collisione con Reza Pahlavi.
Quindi, da un lato, il sovrano era alle prese con le riforme, dall’altro, c’era una crescente opposizione formata da marxisti, nazionalisti e clericali. La convinzione dei marxisti era quella di riuscire a controllare i clericali ed evitare un’eccessiva propagazione delle ideologie che parlavano di teocrazia e del ritorno della Sharia. Lo Scià, reagì con il pugno di ferro nel tentativo di mantenere a bada la situazione. Vennero banditi i partiti e le associazioni, venne limitata la libertà di stampa e la monarchia sembrò virare verso un certo autoritarismo.
Nella popolazione i gruppi sostenuti dal clero avevano la maggior presa. Soprattutto nelle province, il loro radicamento territoriale fù importante. È dunque grazie agli islamisti che si ha un salto di qualità delle proteste. Nell’economia dell’opposizione, le fazioni che furono appoggiate dal clero sciita acquistarono maggior rilievo.
In questa situazione la figura del Grand Ayatollah Ruhollah Khomeini, si ritrova al centro dell'attenzione in quanto ottenne grande fiducia da parte della popolazione iraniana, in quanto lo vedevano come una possibile guida per un Iran libero dalla monarchia dei Pahlavi, questo perché per tutto il suo periodo di esilio ( A Parigi) contrabbandava in patria delle videocassette in cui promulgava discorsi contro la monarchia e il regime. In diverse occasioni i protestanti sfidarono le norme restrittive di circolazione e infransero il coprifuoco. La situazione per l’esercito e le autorità divenne poco sostenibile.
Queste tensioni interne provocarono un allontanamento da parte dell’alleato più importante per il Re, gli Stati Uniti di Jimmy Carter fecero pressioni al Scià per allontanarsi momentaneamente dal suo regno. Il 16 gennaio 1979 Reza Palhavi, messo oramai con le spalle al muro e constatato il definitivo fallimento della sua rivoluzione bianca, vola in Marocco, non metterà più piede in patria. I manifestanti, accolta con giubilo la notizia della partenza del sovrano, chiedono un definitivo esilio. Incoraggiati dalla partenza del Re, i gruppi islamisti decisero di mettersi alla guida della rivoluzione. Da questo momento in poi la protesta prende connotazioni islamiche. Divenne più forte con il ritorno dall’esilio del Grand Ayatollah Khomeini, avvenuta due settimane dopo l’addio dello Scià. Khomeini si mette a capo del consiglio rivoluzionario, in seguito a diversi giorni di scontri, tra i manifestanti e l’esercito che era rimasto fedele al governo (Sorretto dal primo ministro Bakhtiar) avviene l’epilogo del governo, con l’esercito che si rifiuta di intervenire nel sedare le rivolte, questo segna la fine del regno di Persia, e l’inizio della Repubblica Islamica di Iran.
Ciro Tejcek 4ASU
Comments