TOY STORIES
- L' eco del Liceale
- Jan 17, 2023
- 3 min read
Zi Yi, bambina cinese di appena tre anni, ha un sorriso stupendo. Il nero profondo dei suoi capelli completa la sua postura eretta, anche se forse un po’ forzata, donandole una graziosità spiazzante, quasi divina. Davanti a lei, organizzati in file ordinate, giacciono numerosi giocattoli di vario tipo: mattoncini di legno, posate di plastica, strumenti musicali e peluche si alternano in un tripudio di colori. Tangawizi, fanciulla keniota della stessa età, si pone invece in modo completamente diverso: le sue spalle ricurve, le mani raccolte, le ginocchia contratte, evidenziano un senso di disagio verso la macchina fotografica, anche se i suoi occhi tradiscono una certa curiosità. Davanti a lei sta seduta una piccola scimmietta di pezza, logora e sporca. Infine Pavel, giovane ometto ucraino di ben cinque anni, mantiene il controllo della situazione: sta seduto sullo schienale del suo divano con una posizione minacciosa, con i muscoli in tensione pronti a schizzare in ogni momento, possente nella sua piccolezza. Sotto di lui, sono ordinati fucili e pistole giocattolo accuratamente disposti per grandezza. Nulla sembra accomunare le vite di questi tre bambini appartenenti a contesti sociali lontanissimi, eppure tutti e tre, come molti altri provenienti da ben 52 nazioni del mondo, mostrano con un velo di orgoglio i loro compagni di giochi inanimati. Questo è il tema fondamentale dell’opera d’arte fotografica intitolata “Toy Stories” del fotografo italiano Gabriele Galimberti (recentemente al centro delle polemiche a causa dello scandalo Balenciaga). L’opera consiste in decine di foto ritraenti bambini di età compresa tra i tre e i sei anni insieme a tutti i loro giocattoli organizzati in file. L’idea del progetto, rivela l’autore, è nata in maniera casuale: mentre si trovava nella casa di campagna di un suo amico nelle campagne toscane, gli fu chiesto di scattare una foto alla figlia dell’amico mentre giocava con delle mucche in una stalla. La foto uscì molto bene, perciò Galimberti decise di portare questo progetto con sé nel viaggio commissionato dal giornale “La Repubblica”, che in due anni lo ha portato intorno al mondo per documentare come fosse la vita in couch-surfing. Durante il viaggio l’artista ha chiesto ai bambini delle famiglie che ha incontrato se fossero disponibili a posare con i loro giocattoli: “sono rimasto molto sorpreso da quanto facilmente i bambini comprendessero lo scopo del mio progetto” ha rivelato il fotografo in un’intervista, “mi è bastato dargli qualche informazione per poi giocare con loro dopo lo scatto”. A un primo impatto, si potrebbe pensare che Toy Stories abbia come tema principale il privilegio, eppure questo è solo un giudizio tipico dell’uomo occidentale, più facilmente portato a ritenere più “fortunato” il bambino dai cui piedi si dispiegano file e file di bambole o soldatini. Invece, come è possibile intravedere dalle foto, nonostante l’imbarazzo della fotocamera, tutti i bambini sono fieri dei loro giocattoli; anzi, sono proprio quelli che ne hanno di meno a riportare con essi il legame più forte. In fin dei conti, nessun bambino è in grado di reputarsi “fortunato o sfortunato”, termini che assumono significato solo in una prospettiva più materialistica e tipica del pensiero adulto; un bambino gioca con un paio di occhiali trovati per strada (come fa Maudy, bambina di tre anni nata e cresciuta in Zambia) allo stesso modo in cui lo fa con il più sofisticato dei giocattoli. Per questo motivo Toy stories non è un’opera sul privilegio, ma sull’educazione, e spinge a riflettere su quale sia il ruolo pedagogico del gioco nella crescita di un bambino. Pensateci con attenzione: con quali giocattoli giocavate da piccoli? Eravate da soli o in compagnia? Avete ricordi vividi di questi oggetti o sono solo una massa indefinita di diversi materiali con cui passavate il tempo? Potete trovare delle somiglianze tra il modo in cui giocavate da piccoli e quello in cui ora vi interfacciate con il mondo e interagite con gli altri? Ecco che non sembra così anomala una generazione individualista in cui molte persone non saprebbero ricordare il proprio giocattolo preferito, proprio perché non ne avevano uno. In questo clima di riscoperta, Toy Stories rimarca l’importanza forse trascurata della spensieratezza nel momento cruciale della nostra esistenza, ossia l’infanzia.
Matteo Venturi 5AC



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